“Ma come sono fatte le donne?” “In che senso…” . Silenzio. “Insomma… se metti una cosa in vagina, uno di quei preservativi femminili, per esempio, poi come devi fare per toglierlo?”. La domanda cade nel bel mezzo della riunione “a sorpresa”. Un’amica mi ha chiesto: “Mi accompagni ? Non so di cosa si tratta, ma sai una collega ha tanto insistito…”. La padrona di casa è accogliente, siamo un gruppo di donne tra i 30 e i 50. Tra noi circola l’emozione dell’ “attesa”. Vuoi una tisana? Sì grazie ai mirtilli. Gettiamo un’occhiata al cellulare. Finché arriva Francesca. “Sono una consulente e vengo qui oggi a parlare con voi perché mi avete invitata”, dice. Ha un bel sorriso e l’aria di chi ti mette a tuo agio. Ha una pochette e porta una valigia che poggia sul tavolo. “Adesso inizio un percorso che va dalla salute al gioco. I giocattoli che mostro diventano l’occasione per parlare tra noi”. Il silenzio è una coltre spessa, ma dopo le prime risate lo tagli come burro. Francesca parla della coppetta mestruale, una donna al mio fianco che ha già rotto il ghiaccio chiede: “Se la metto, poi come faccio a fare la pipi? “. Francesca la guarda e gentilmente spiega come siamo fatte. “Vedi, ci sono sono due canali, quello vaginale e l’altro per la pipì”.
Il mio ricordo è nitido. E’ un libro di tante pagine, con la copertina bianca e nera. Il titolo: “Noi e il nostro corpo”. Lo sfogli e arrivi lì dove ti viene suggerito di metterti a gambe divaricate con uno specchio davanti. Guardi bene, capisci come sei. I disegni mostrano con chiarezza le grandi e le piccole labbra, il cappuccio del clitoride, il perineo. Guardando e toccando ti è chiaro che c’è l’orifizio vaginale e c’è “il meato urinario”. Medicalizzazione del corpo? Esattamente il contrario. Il libro nasce nel corso di un raduno a Boston nella primavera del 1969, alcune donne decidono di approfondire la conoscenza del corpo femminile, sono arrabbiate con i medici che danno giudizi e non informazioni. Vengono fuori delle dispense, poi l’opera. Milioni di copie. Non si parla solo del corpo ma dell’immagine culturale della donna. Il testo nasce grazie alle femministe. Ed è un classico.
E adesso? Purtroppo sono tornati o rimasti molti tabù. Francesca intanto sta mostrando le palline vaginali, che hanno molti nomi: sfere della luna, sfere vibranti, palline cinesi, palline da Geisha, Kegel balls. “Servono a mantenere elastica la muscolatura del pavimento pelvico”, stimolano le contrazioni spontanee. Solo salute? No. “Le sfere aiutano il piacere”. Ognuna delle palline contiene dentro un’altra sfera, il movimento impegna la muscolatura e aumenta la sensibilità. “Possono essere utilizzate da tutte le donne e a qualsiasi età”. Ed ecco che arriva un’altra domanda, a farla è una di noi sulla quarantina che fino adesso è stata zitta. “Scusa, Francesca, ma se non riesco a tirarle più fuori? Non si possono perdere dentro la vagina? Se poi non le trovo più…”. “Le trovi, devi stare attenta a non stare in tensione, a non irrigidire la muscolatura. E’ la cosa più importante”. Le palline hanno raggiunto una discreta notorietà grazie al libro “Cinquanta sfumature di grigio” per la scena in cui Christian le propone ad Anastasia, sequenza che inciampa su un paio di assurdità. Il risultato è però che sono meno ignorate di prima. E siccome abbiamo parlato di “sensibilità” e soddisfazione, la prima donna che aveva dubbi sull’anatomia chiede: “Ho solo l’orgasmo clitorideo è normale ?”. Ne parliamo un po’ tutte. Ormai ci siamo rilassate. Francesca dice che è questione di stimolazione, ne occorre una buona, e anche un buon affiatamento dentro la coppia. E qui viene fuori un altro problema. Molto diffuso, pare. “Per me è importante che goda lui, che lui sia soddisfatto, io…non so, a volte non trovo il coraggio, però piacerebbe stare bene pure a me”. Parlare di giocattoli sessuali aiuta. Se un paio di noi sono molto interessate ai vibratori, altre dicono che tanto non serve perché “ho il marito”. Forse anche un po’ scocciate da certe insistenze di lui. “Il vibratore serve innanzitutto a te – spiega Francesca – per capire come provi piacere, per conoscerti”. Gli stimolatori sono di ogni forma e colore. Chi li usa da un po’, una donna con i capelli rossi, fisico atletico, dice che ha “qualche difficoltà a farli accettare al compagno”. Finché un’altra del gruppo chiede se può fare qualche foto degli oggetti. Si certo, ma perché? “Sono lesbica le invio alla mia compagna e decidiamo insieme quali prendere”. Mi chiedo se è disinvolta o insicura. O troppo oculata nelle spese! La riunione sta per terminare. C’è chi non prende nulla, chi a tu per tu con Francesca stringe accordi. Ed ecco che mi arriva il secondo flash. Eh sì, avevo avvertito dentro di me un certo sentore di deja-vu. La prima raccolta di racconti “Principesse azzurre” che ho curato, pubblicata nel 2003, vedeva Maria Rosa Cutrufelli narrare di un addio al nubilato e di una consulente con la valigia, molto attraente, che poi ha un flirt con la protagonista. Sorrido e penso che in 14 anni queste riunioni hanno messo radici. Intanto mi offro di accompagnare Francesca che va nella mia stessa direzione. Devo prendere il piccolo Lacan a casa di Claudio dove ha giocato con le amiche cagnette. “Non ti fare mai opinioni quando sei in gruppo, perché poi a tu per tu arrivano le dichiarazioni choc”, mi confida Francesca. “Siamo in tante sai? Almeno 130. La gente non parla facilmente di sesso, non è come discutere di cucina. Le domande più comuni sono sull’apparato sessuale femminile e sulla fisiologia. C’è ancora tanto da fare, c’è fame di sapere, di dire, di chiedere e per le donne ci sono pochi spazi per parlare”. Francesca è psicoterapeuta, ha scritto “In viaggio con la valigia rossa” (ed. Zona). Insieme al regista Silvio Montinaro, Francesca D’Onofrio è autrice di un documentario che vedrà la luce a fine anno e che è legato al sito www.separlodisesso.it, dove ci sono i video profili di alcune viaggiatrici con la valigia sparse da Torino a Catania. Il documentario parlerà di quattro di loro. Del sesso 2.0 a Milano, delle grosse resistente a Lecce, dei pregiudizi in famiglia a Roma. E di una donna che abita nel modenese, energica, che ha la sclerosi multipla. Sono in contatto con l’associazione “Lovegiver” che si occupa di assistenza sessuale alle persone con disabilità (www.lovegiver.it). Presto partirà un crowfunding. Hanno lanciato una petizione per chiedere che venga fatta l’educazione sessuale nelle scuole. Eccoci. Francesca è arrivata a destinazione. Salgo dal mio amico a prendere Lacan. Mi dice che ha fatto il pazzerello con le sue cagnoline. “Tre indemoniati!”. Sarà l’aria di primavera?
